
Filippo Grazzini
Il ciclo di conferenze “Cultura in Gradi”, che offre alla comunità dell’Ateneo viterbese l’occasione d’incontrare figure prestigiose della ricerca e della creatività italiana di oggi, ha ospitato il 14 marzo in Auditorium una lectio magistralis di Roberto Andò (Palermo 1959), regista cinematografico, teatrale, operistico, oltreché scrittore. L’invitato, presentato dal Magnifico Rettore Stefano Ubertini e introdotto dal Direttore del Disucom Giovanni Fiorentino, ha tenuto un discorso d’impronta autobiografica, ricostruendo a passo a passo la sua carriera: ma la rivisitazione gli ha anche consentito alcune considerazioni su caratteri, limiti e funzione del lavoro degli artisti della parola, dell’immagine e della scena nel mondo contemporaneo. Un libro come Il piacere di essere un altro(realizzato a quattro mani con Salvatore Ferlita e uscito nel 2022 per La nave di Teseo) o un film come La stranezza (andato nelle sale lo scorso autunno e interpretato tra gli altri da Toni Servillo, Salvatore Ficarra e Valentino Picone) si pongono come gli esiti più recenti di un percorso compositivo avviato nel segno della sicilianità, poi orientato in molteplici altre direzioni (fino a incontri come quelli con Francis Ford Coppola, Michael Cimino e Claude Sautet). È leggendo Leonardo Sciascia, poi a lungo e sinceramente amico, che Andò si rivela a sé stesso per letterato; e quasi altrettanto forte egli sente l’influenza di Verga e Brancati, Consolo, Camilleri e finalmente Pirandello: una galleria di regnicoli, a cui solo si contrappone lo scrittore della grande città, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. È però nel cinema che Andò matura con più evidenza, soprattutto grazie all’assistentato di una grande figura come Francesco Rosi. Dopo l’esordio con il docufilm di ambiente palermitano Diario senza date (1995) molte pellicole sono venute: tra le altre Viva la libertà, 2013; Le confessioni (2015), Conversazioni su Tiresia di e con Andrea Camilleri (2015), Una storia senza nome (2018), Il bambino nascosto(2021). Con i film, le letture e la scrittura Andò ha conciliato l’amore per la fotografia, l’attenzione e la stima per Enzo Sellerio e Letizia Battaglia. Il suo impegno nel teatro di prosa, anch’esso di lunga data, lo ha portato nel 2021 alla regia di Piazza degli eroi di Thomas Bernhard, applaudito in un esteso tour per la penisola.
Se deve considerare qual è il tratto più rilevante dell’evoluzione delle arti mimetiche – vogliamo chiamarle così? – nel secondo Novecento e fino a oggi, Andò trova molto notevole sullo schermo (e in fatto di letteratura le cose possono essere simili) l’evoluzione del neorealismo verso i modi del romanzesco. È forse da Salvatore Giuliano(1962) del suo maestro Rosi che, non potendosi scoprire per intero una verità scomoda sulla parabola di quel bandito, il cinema italiano ha cominciato a sostenere le sue costruzioni del vero anche con altri materiali. L’invenzione non rinuncia a basarsi su un dato storico; tuttavia l’artista può mettere in luce pieghe e dettagli rivelatori della realtà forse in altro modo non attingibili: attraverso connessioni innovative di dati, scatti intuitivi, valorizzazione di aspetti emotivi di vicende tanto individuali quanto collettive. Si tratta di movimenti mentali di cui il rigore, ma anche la rigidità, della ricerca positiva in storiografia possono non essere capaci. Né da questo quadro d’assieme, mosso e solcato da tensioni, resta in ultima analisi esclusa l’opzione paradossale di una messa in questione dei fondamenti stessi della realtà. Largo successo ha avuto e sta avendo La stranezza, storia di come dalla conoscenza casuale di due becchini, spiati nel loro goffo tentativo di fare teatro e nel fiasco di una loro farsa, il genio di Girgenti può avere tratto lo spunto dei Sei personaggi in cerca d’autore: Pirandello sembra continuare a parlare a molti.
Come ancora osservava l’invitato del Disucom, è però già in Visconti, perfino da La terra trema (1948), che l’itinerario dal neorealismo verso il romanzesco può forse partire. Con un merito ulteriore per il grande maestro milanese e per chi, leggendo dal 1958 Tomasi di Lampedusa e vedendone la versione in pellicola del 1963, seppe riformulare i giudizi liquidatori dati da intellettuali di sinistra affrettati. Esso consiste nell’aver riconosciuto la lucidità (senza didascalicità), combinata con il senso decadente dell’autobiografismo dell’autore e servita da una quasi irresistibile forza di seduzione affabulativa, con cui il Gattopardo misura rapporti di forza e dinamiche sociali operanti nel processo di unificazione nazionale, tra il 1860 e il 1861. Un film di grazia sottile come Il manoscritto del principe (1999) coglieva bene, raccontando gli ultimi anni di vita di Lampedusa e la genesi del suo fortunato romanzo, l’inappartenenza dell’autore al suo tempo; ma nella valutazione di Andò, ora come allora, questo nulla toglie alla capacità del libro di cogliere, con il suo sguardo spietato e disperato, i modi e la logica di un trapasso dal secolare malgoverno borbonico a nuovi potenti, anch’essi avidi – e pure volgari.
Quanto, invece, alle prospettive della creatività artistica nel mondo globalizzato e incerto del presente, con i suoi autori prediletti (da Salman Rushdie a Ian Mc Ewan) e i suoi compagni di viaggio sul Cinema Boulevard (da Sorrentino a Martone, nel ricordo sempre caro di Bertolucci), Andò ritiene tuttora irrinunciabile una funzione del cineasta, del teatrante e dello scrittore: quella di segnalare, con le opere dell’ingegno, le storture e gli inganni dell’esistenza collettiva. Abbiamo sempre bisogno di delatori.
La lectio è stata seguita da un dibattito, con l’intervento di vari docenti del Disucom, che hanno messo in luce le convergenze tra molte delle tematiche trattate dall’ospite e i contenuti delle loro discipline. Il sigillo dell’ Ateneo della Tuscia, che il Rettore ha infine consegnato ad Andò, vale da attestato di via stima e come augurio per nuove avventure del talento e dell’intelligenza.